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Le operazioni militari moderne sono una delle attività umane più complesse che esistano. Il loro risultato dipende dalla sommatoria di un numero praticamente infinito di fattori tanto quantitativi che qualitativi, e quindi non tutti misurabili: l’esito pertanto non è facilmente prevedibile e anche nei casi più semplici di solito si rivela comunque differente da quello preventivato.

I fattori misurabili sono quelli tecnici: il numero dei rispettivi combattenti e delle loro armi, il livello dei materiali disponibili e in afflusso, il ritmo necessario per completare le attività necessarie. Poi ci sono i vincoli di spazio e di tempo che limitano il campo di battaglia e definiscono le reciproche disponibilità di risorse, oltre le quali è fisicamente impossibile spingersi.

I fattori non misurabili però sono anche quelli meno definiti: coinvolgono le direttive politiche ai comandanti, le loro strategie per conseguire gli obiettivi assegnati, il morale e il livello di addestramento dei combattenti, la capacità dei comandanti, la qualità delle comunicazioni sul campo, il risultato delle tattiche contrapposte, la precisione del fuoco, la tempestività della manovra… Neppure il più avanzato e sofisticato Stato Maggiore può valutare completamente tutti questi elementi offrendo un pronostico sicuro.

Anche perché, come giustamente osservava Napoleone, rimarrà sempre un ulteriore fattore ancora più indefinito degli altri a determinare il risultato finale: la fortuna.

 

Per tutte queste ragioni, quella militare viene definita non una scienza, ma un’arte. Laddove una scienza esatta prevede una sola risposta valida per un problema, un’arte ne può offrire una differente per ogni artista che lo affronti, e ognuna potrà essere o meno valida a seconda delle condizioni… E della fortuna.

Chiunque abbia studiato tattica ricorderà l’aneddoto secondo cui il piano di battaglia di un genio potrà facilmente somigliare a quello di un imbecille: ciò che li differenzierà sarà l’insieme dei presupposti su cui sono fondati. Ed entrambi potranno o meno avere successo nei confronti di un avversario mediamente competente.

 

Per questo nessuna battaglia è decisa a priori. La storia ci offre dozzine di esempi in cui le cose sono andate in maniera completamente diversa da come ci si sarebbe immaginati: vittorie conseguite contro ogni pronostico e contro ogni logica, e che hanno spesso cambiato il corso della storia. A Maratona, ad Agincourt e sulla Vistola piccoli eserciti hanno prevalso su nemici enormemente superiori per una serie di ragioni qualitative più o meno note che hanno prevalso su fattori quantitativi ben consolidati, e che noi tendiamo a riassumere in termini di “morale”: rispettivamente greci, inglesi e polacchi prevalsero sui loro avversari numericamente superiori a causa della loro maggiore motivazione a combattere.

 

La motivazione però non basta. Anche ad Alamo i difensori erano estremamente motivati, ma alla fine furono sterminati… Quindi alla fine l’Arte Militare – e quindi le scelte dei Comandanti basate su ciò che hanno a disposizione – rimane fondamentale.

Lo studio approfondito della situazione militare che si è venuta a determinare in Ucraina richiederà molti anni di analisi e determinerà l’evoluzione futura della materia. Però possiamo provare a prendere in esame alcuni dettagli importanti per cercare di immaginare l’esito della prossima battaglia nel Donbass.

 

Partiamo dai carri armati. Nell’immaginazione comune si identificano con la guerra moderna: un po’ come la cavalleria pesante identifica quella medioevale. In realtà in entrambi i casi si tratta di un elemento formidabile ma anche estremamente vulnerabile: un assetto prezioso da impiegare in maniera oculata e solo per azioni decisive, altrimenti va sprecato e addirittura perduto.

Ho letto molti commenti in merito: per alcuni i russi avrebbero vinto in partenza semplicemente perché ne avevano tanti di più; per altri questa guerra ne avrebbe sancito la fine… In realtà la guerra in Ucraina ha dimostrato una volta di più come il loro impiego sia complesso. Il carro armato è veloce su quasi tutti i terreni, estremamente ben protetto ma non invulnerabile, e con un’eccellente potenza di fuoco a media distanza. Per queste sue caratteristiche rende al meglio negli spazi aperti, dove ha visibilità fino alla distanza massima a cui può sparare con precisione (diciamo due chilometri), e dove possa sfruttare la sua velocità. Pertanto occorre tenerlo lontano dalle paludi dove sprofonda, dalle foreste dove si impiglia e dalle città dove non vede niente. Nell’aperta campagna è invincibile… Purché possa ricevere tempestivamente il carburante che gli occorre, e il terreno non sia abbastanza fangoso da somigliare ad una palude.

 

I russi hanno attaccato nel momento in cui le campagne ucraine sono più fangose e quindi i loro numerosissimi carri armati hanno dovuto muovere in colonna sulle strade, infilandosi nei centri abitati difesi da soldati appiedati muniti di armi controcarri spalleggiabili: a breve distanza e in spazi ristretti dove da un carro armato non si vede niente, una sola squadra di soldati motivati e addestrati possono distruggere facilmente diversi carri. Ma se quegli stessi carri avessero potuto muoversi in formazione aperta aggirando quegli stessi centri abitati passando per la campagna, tagliando fuori i soldati asserragliati al loro interno e lasciandoli alle cure della fanteria al seguito, le cose sarebbero andate molto diversamente.

Adesso le campagne si stanno asciugando; i carri possono muoversi più liberamente. Però il fronte si è ristretto al solo Donbass, e gli spazi sono molto minori: per i russi sarà difficile sfruttare la loro superiorità numerica lasciando ai carri tutto lo spazio che gli occorre per manovrare. Il fronte di attacco di un battaglione è di almeno quattro chilometri, e se si restringe troppo i carri ridiventano vulnerabili al fuoco controcarri di un nemico ben trincerato. Quindi o si impiegano meno carri o si limitano le loro possibilità di manovra; in sostanza, più se ne impiegano contemporaneamente, più se ne perdono in combattimento.

 

Gli ucraini hanno molti meno carri dei russi, ma finora li hanno impiegati pochissimo proprio per le ragioni indicate più innanzi: le condizioni non erano idonee al loro impiego, visto che si combatteva essenzialmente negli abitati. Ora però si combatterà in aperta campagna e su un fronte relativamente ristretto.

I carri armati non sono solo idonei per l’attacco in massa: divisi in piccole unità, consentono una difesa dinamica estremamente efficace per dissanguare il nemico che avanza fra una posizione fortificata e l’altra, e consentono anche rapidi contrattacchi sul fianco delle unità avversarie. Pochi carri bene impiegati in territorio conosciuto possono prevalere su molti carri usati male in terreno poco familiare… Ma per l’appunto, devono essere bene impiegati.

 

Sappiamo di quanti carri armati dispongano le due parti, e sappiamo che il vantaggio numerico dei russi è notevole. Quello che non conosciamo è il livello della rispettiva motivazione a combattere, ma sappiamo che quella degli ucraini è superiore. Ancora una volta assisteremo ad uno scontro fra quantità e qualità: l’orso Vladimiro ha i numeri; riuscirà a dimostrare anche il morale necessario a vincere?