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Ok. Volevo evitare perché non è esattamente il mio campo e anche perché secondo me più se ne parla e peggio è; ma adesso leggo che anche il generale Tricarico si è esibito sull’argomento, fra l’altro senza aggiungere nulla che non fosse già ampiamente noto, quindi mi rassegno. Parliamo dell’impiego delle armi nucleari.

Il loro uso, ventilato ad arte da Putin oltre un mese fa quando ha cominciato a rendersi conto che le sue forze convenzionali da tanti ritenute invincibili stentavano a sopraffare l’Ucraina, è lo spettro che si nasconde dietro ogni discorso sulla guerra: l’elefante seduto a tavola che tutti cercano di esorcizzare, ma che rifiuta di scomparire e mette tutti a disagio. Beh, quasi tutti.

Non parlerò dei dettagli che appassionano tanto i profani, come la potenza delle testate, il loro numero e dislocazione, i sistemi di lancio o gli effetti più o meno controllati: non è il mio mestiere, e non è nemmeno il vero punto della discussione. Partiamo dal fatto che c’è una guerra in corso: una guerra che a differenza di tutte le altre guerre degli ultimi trent’anni, potrebbe almeno in teoria degenerare in un conflitto nucleare. Bene: cos’è una guerra?

Non è una zuffa fra ragazzini e neppure una rissa da osteria. La guerra, per stare con Clausewitz, è la prosecuzione della politica fatta con mezzi militari; si tratta di un atto di violenza che non conosce limiti definiti. E’ condotta da professionisti e diretta dai politici che l’hanno determinata. Il suo scopo è piegare l’avversario con la forza ad accettare il proprio volere, e lo stato finale che ci si prefigge è una situazione finale per la propria parte che sia preferibile a quella prebellica.

Basterebbe questa definizione a rendere poco credibile un’escalation nucleare del presente conflitto: uno scontro nucleare non genererebbe da nessun punto di vista una situazione preferibile a quella iniziale: per nessuno.

L’iniziatore del conflitto ha un nome: Vladimir Putin. Si tratta di un autocrate brillante, razionale, con un progetto politico ben preciso e totalmente privo di scrupoli. Il suo profilo psicologico indica che è sospettoso, sicuro di sé, pronto ad assumersi responsabilità decisionali per perseguire i suoi obiettivi, volti all’accrescimento del potere del suo Paese più che al suo arricchimento; in questo si discosta dalla visione geopolitica prevalente in Occidente, che in ossequio alla dottrina marxista individua nello sviluppo economico il motore delle decisioni politiche, e per questo risulta spesso di difficile lettura da parte degli analisti soprattutto europei. In particolare, Putin è uno che se non dice tutto quello che fa, fa però tutto quello che dice.

Per cercare di prevedere le sue azioni, il primo passo è quindi esaminare con attenzione quello che dice: perché prima o poi lo farà. Ha detto che non avrebbe accettato l’avvicinamento dell’Ucraina all’Occidente e infatti ha agito di conseguenza. Ha affermato di voler “de-nazificare” l’Ucraina, e infatti prima ha cercato di conquistare la capitale e adesso si sta concentrando nella distruzione del simbolico “battaglione Azov”. Potrei andare avanti a lungo, ma il punto è che ha anche affermato tramite il suo portavoce che NON avrebbe impiegato armi nucleari nel conflitto a meno che il territorio russo non venisse seriamente minacciato: ribadendo così il vecchio concetto mai caduto in disuso secondo cui le armi nucleari si impiegano ragionevolmente solo quando la sopravvivenza della Nazione è a rischio. Bene: nessuno ha intenzione di mettere a rischio la sopravvivenza della Russia; magari alla retorica ucraina può fare gioco ventilarla per la propaganda di guerra interna, ma Zelensky non ci pensa nemmeno… E non ci pensano i leader occidentali.

La guerra si combatte per ottenere una situazione migliore di quella iniziale: una devastazione nucleare, fosse pure limitata, otterrebbe in ogni caso un risultato opposto. Putin è un gangster, ma è un gangster razionale, e ha il suo programma politico da portare avanti: non lo comprometterà per pura frustrazione, a meno che la Russia non corra un rischio esistenziale.

Ma allora perché ventilare il rischio, seppure con un linguaggio ambiguo? Perché parlare di “conseguenze inimmaginabili” o della “nuclearizzazione del Baltico”?

Fin dal 1946, le armi nucleari sono state prima di tutto uno strumento di pressione politica e un simbolo di potere. La semplice minaccia del loro uso è più potente dell’impiego effettivo. Pensateci: il solo sapere che Putin ha il suo bravo arsenale mette la Russia al sicuro da un attacco della NATO. Attacco che dopo un’aggressione come quella all’Ucraina qualunque altro autocrate avrebbe dovuto aspettarsi. In fondo Putin ha fatto la stessa cosa che fece Saddam in Kuwait, e sappiamo com’è andata a finire.

Putin ha solo ribadito la sua determinazione. In più, da esperto manipolatore delle masse, ha inviato un messaggio che ha terrorizzato l’opinione pubblica occidentale: perché il vecchio agente del KGB conosce molto bene i timori delle masse. Chissà perché, nessuno si è spaventato in Russia: eppure una guerra nucleare colpirebbe loro almeno quanto noi… Il suggerimento che il rischio esista rimarrà nell’aria come mezzo di pressione: l’uso migliore che esista delle armi nucleari. Involontariamente, chi rilancia tale suggerimento agisce in modo strumentale ai fini della politica di Putin: accostare il sostegno all’Ucraina ad un innalzamento del rischio nucleare è il modo migliore per spingere l’opinione pubblica (soprattutto europea) a contrastare la volontà politica condivisa dei governi della NATO. Frammentare l’Alleanza è sempre stato l’obiettivo principale di Putin per poter tornare ad estendere il potere della sua Russia fino a quelli che ritiene debbano essere i suoi confini naturali (molto a ovest di dove siano adesso).

L’atteggiamento dei governi occidentali, e in particolare quello sdegnoso di Biden, rientrano a loro volta nella logica del duello di nervi. Da una parte dimostrano di giocare come una singola squadra, parlando uno alla volta gli europei e tenendo uno sprezzante distacco Biden; dall’altra, il rifiuto del presidente americano di trattare faccia a faccia con Putin indica da una parte l’intento di delegare agli europei la diplomazia per la crisi che si svolge sul loro continente, e dall’altro priva l’aggressore di quello che ritiene essere l’unico interlocutore “degno” di lui. In questo modo, fra le altre cose, l’amministrazione USA ribadisce la sua determinazione e indirettamente conferma come l’Articolo 5 della NATO sia più valido che mai, e che un attacco nucleare all’Europa sarà inteso come un attacco all’America. Putin ne è perfettamente consapevole, e infatti si guarda bene dal proferire minacce nucleari dirette, fedele com’è al suo personaggio. Se lo facesse, rimarrebbe intrappolato nella sua stessa retorica, ed è troppo furbo per farlo.

L’orso Vladimiro non dice tutto quello che fa, ma fa tutto quello che dice.