Così come i russi, anche gli ucraini si stanno preparando per la prossima battaglia.
Rispetto ai loro avversari però si trovano in una situazione assolutamente diversa per non dire opposta. Se l’esercito russo è a tutti gli effetti l’erede dell’Armata Rossa, di cui mantiene tradizioni e simbologia – anche se il comunismo appare superato come ideologia pratica, simboli e tradizioni sono perpetuati nell’armata russa, e le stelle rosse continuano ad essere l’emblema degli aerei russi – quello ucraino pur originando dalle stesse radici si è ormai profondamente distanziato da ordinamenti e dottrina dell’esercito sovietico, di cui sostanzialmente mantiene solo gli equipaggiamenti di base.
La crisi del 2014, che ha colto le forze armate ucraine assolutamente di sorpresa, ha rappresentato tanto un battesimo del fuoco per l’esercito, quanto un brusco risveglio che ha portato ad una serie di profonde trasformazioni in senso occidentale delle forze armate. Istruttori della NATO hanno contribuito profondamente alla ricostruzione dell’apparato militare ucraino, e per esempio i Carabinieri hanno fornito il supporto fondamentale per l’addestramento della Guardia Nazionale: tecnicamente questa è parte delle forze di polizia, ma esattamente come i Carabinieri è perfettamente in grado di integrarsi con ‘esercito per la difesa in particolare dei centri abitati. L’Occidente ha fornito esclusivamente equipaggiamenti leggeri e rigorosamente “difensivi” non solo allo scopo di non antagonizzare troppo la Russia, ma anche in ossequio al principio secondo cui un esercito deve innanzi tutto essere in grado di proteggere il proprio territorio, e solo in un secondo tempo può pensare a proiettare le sue forze oltre i confini, possibilmente nell’ambito di coalizioni.
In base a questo concetto, l’esercito ucraino ha ricevuto armi e mezzi leggeri ed un addestramento rivolto fondamentalmente alle minori unità. Non sono stati forniti carri armati o artiglierie, a ribadire come l’accusa russa che l’Ucraina si preparasse ad aggredire la Russia sia assolutamente ridicola. Però si è cercato di rendere l’ucraina capace di difendersi se aggredita, ed è sapendo questo che all’inizio del conflitto mi sono trovato a dissentire con forza da tutti coloro che ripetevano come un mantra “l’Ucraina non può vincere”. Un mantra assiduamente alimentato dalla propaganda del Cremlino, e seguito anche da numerosi generali in pensione dell’Esercito e riciclati come commentatori “esperti” che però evidentemente non erano al corrente del lavoro svolto dall’Alleanza in partnership con un esercito altamente ricettivo.
L’addestramento e l’equipaggiamento forniti dalla NATO – almeno fino ad oggi – erano finalizzati esattamente a ciò che hanno ottenuto: arrestare un’aggressione convenzionale russa. Quello che la NATO non ha fatto, è stato preparare l’Ucraina ad operazioni offensive, od anche solo controffensive. Per esse occorrono carri armati, artiglierie semoventi e aerei d’attacco di cui l’Ucraina non dispone, e che l’Occidente non ha previsto di fornire. Piccole formazioni corazzate operanti in testa a solidi reparti di fanteria leggera sono eccellenti per sconfiggere un nemico pesantemente corazzato e lanciato in un assalto a testa bassa, ma hanno problemi ad attaccare un tale avversario se questo è attestato a difesa… A meno che il morale di questi non collassi in maniera decisiva. Insomma, l’esercito ucraino dispone di equipaggiamenti e addestramento sufficienti ad arrestare i russi, ma non a ricacciarli dai territori occupati: le zone liberate lo sono state perché i russi si sono ritirati, non perché ne siano stati cacciati, se non in minima parte.
Fin qui l’aspetto materiale. Esiste però anche un aspetto meno fisico e più difficilmente misurabile. Nei post precedenti ho parlato di motivazione, puntando l’indice alla mancanza di convinzione da parte dei soldati russi, indipendentemente dal loro addestramento. Ora, se la motivazione al combattimento dei russi era bassa all’inizio e adesso – dopo la sconfitta nella battaglia di Kyiv – probabilmente è ancora inferiore, quella degli ucraini appare esaltata dalla vittoria, conseguita contro ogni apparente probabilità agli occhi del mondo intero.
Mi rendo conto di fare un’analogia oltraggiosa, ma pensate alla Nazionale di calcio: molto spesso, quando parte sconfitta nei pronostici, dà il meglio di sé; mentre se è troppo sicura delle proprie capacità, va incontro a disastri ignominiosi. In realtà il meccanismo psicologico alla base di questo è lo stesso che in combattimento. Un esercito che si scopre più forte di quanto pensasse di fronte ad un avversario ritenuto più potente, si esalta e combatte sempre meglio mentre al nemico capita l’esatto contrario. E’ così che si innesta il meccanismo del “momentum” spiegato nel post di ieri. In casi estremi si arriva a quella “presunzione di invincibilità” che rappresenta un fattore di potenza in sé, e che per esempio nel caso delle legioni romane è durato secoli.
Con la sua aggressione, Putin ha creato le premesse per contraddire la sua tesi: l’Ucraina si trova infatti a combattere per la prima volta da sola per la sua indipendenza. Ha combattuto per mille anni, ma sempre come parte di qualcosa di più complesso (la comunità dei Rus, la Moscovia, la Russia zarista, l’URSS…), mentre adesso sebbene sostenuta dall’intero Occidente si trova a combattere da sola e per sé stessa. Tutte le Nazioni nascono forgiate al calor bianco della guerra: non è retorica, ma un fatto storico. Quelle che falliscono il test della difesa dell’indipendenza, scompaiono; quelle che sopravvivono, crescono nella loro autostima. Noi oggi stiamo assistendo alla nascita della Nazione ucraina. Lo dimostra proprio il fatto che le regioni invase che si difendono con tanta determinazione sono proprio quelle che in base agli apologeti della vulgata di Putin avrebbero dovuto essere “filo-russe” in quanto di madrelingua russa… Un po’ come se gli irlandesi fossero “filo-inglesi” solo perché parlano l’inglese. In realtà erano terre che si sentivano figlie di entrambe le patrie; essere aggredite da una di esse le ha portate a scegliere definitivamente l’altra.
Gli ucraini sono estremamente simili in origine ai russi. Sanguigni, passionali, testardi… Forse un po’ meno disciplinati, ma altrettanto determinati a difendersi se aggrediti. E laddove l’aggressore fosse precedentemente percepito come un “fratello”, scatta la sensazione del tradimento. E l’aggredito che si sente anche tradito combatte con furia raddoppiata. Se poi si scopre più forte del previsto, si convince di essere destinato a vincere: perché è nel giusto, e perché si sente sicuro di sé. Laddove l’aggressore ha invece dubbi sulla giustezza della sua causa, sulla capacità dei propri capi, e per di più si scopre meno forte di quanto pensasse, comincia a sentirsi sconfitto in partenza. A quel punto, l’inesorabile meccanismo del “momentum” comincia a far scivolare il risultato lungo un piano inclinato.
In conclusione: gli ucraini hanno tutto ciò che gli occorre per poter conseguire un altro successo difensivo, e se i russi non trovano il modo di invertire il verso del momento d’inerzia a loro sfavorevole, difficilmente potranno conseguire quel successo militare di cui il loro autocrate ha un bisogno disperato. Il fatto che l’Ucraina non disponga del materiale bellico necessario per operazioni offensive rappresenta una sorta di “assicurazione” che il fallimento dell’invasione non si trasformi in una sconfitta così secca che perfino la sofisticata propaganda del Cremlino trovi impossibile rappresentarla come una vittoria.
Esistono ovviamente rischi limitati di un esito diverso: da un lato l’enorme superiorità in termini di potenza di fuoco potrebbe ancora consentire ai russi di conseguire un successo reale. Dall’altro, il meccanismo del “momentum” potrebbe far collassare l’esercito russo al punto da consentire agli ucraini di spingersi in avanti in modo tale da scatenare le “paure esistenziali” della Russia.
In entrambi i casi spetterà all’Occidente fare in modo – con adeguati interventi diplomatici e di supporto – che la situazione creata dall’orso Vladimiro non degeneri ulteriormente.