Ultime notizie

Default Placeholder

Giorno 236

 

Dopo l’ironia dell’articolo precedente, cerchiamo di ritornare sulla sostanza del problema del conflitto: magari andando al nocciolo del problema, e provare ad analizzarlo con un metodo di tipo matematico.

 

In passato abbiamo già parlato del “potenziale militare” di una Nazione, ma forse è il caso di richiamare il concetto. Parlando in maniera astratta e cercando di matematicizzare concetti che matematici non sono ma che è difficile comprendere senza un appropriato ciclo di studi e qualche esperienza pratica per almeno una decina di anni, possiamo richiamare la formula di Edward Luttwak: il Potenziale militare di una Nazione (P) è pari alla somma del suo potenziale demografico e delle sue risorse (D+R), moltiplicato per la volontà (V) di combattere della popolazione. P=(D+R)xV. Questo significa che indipendentemente dal valore di D ed R, quando V=0 anche P=0.

Il potenziale militare di una Nazione dipende quindi essenzialmente dalla volontà di combattere della sua popolazione: se questa è molto elevata, anche un quantitativo modesto di soldati e di risorse possono condurre ad un potenziale significativo. Di contro, laddove tale volontà risulta bassa, valori anche molto elevati di personale e risorse possono condurre ad un potenziale sorprendentemente basso.

 

Ovviamente attribuire un valore congruo a D, R e V è meno facile che definirli teoricamente. Laddove in particolare D ed R sono in teoria quantificabili in base a semplici calcoli numerici (numero di persone sotto le armi oppure atte alla mobilitazione, numero di aerei o di carri armati, eccetera), il valore di V è un qualcosa di difficilmente definibile quantitativamente e che dipende da una serie di altri fattori imponderabili quali il morale dei soldati, il loro livello di addestramento, la qualità della leadership, lo spirito di sacrificio della popolazione e la famosa “motivazione al combattimento” che secondo me rimane il punto fondamentale dove la differenza fra russi e ucraini si è manifestata maggiormente.

L’analisi e lo studio di questi valori e delle componenti che contribuiscono a formarli è compito dell’intelligence, ed è un lavoro complesso che coinvolge a tempo pieno sensori, agenzie e analisti delle principali organizzazioni militari del mondo. Si tratta infatti di un lavoro che non ha mai fine, in quanto questi valori ovviamente non sono statici: sono dinamici, e soprattutto in tempo di guerra tendono a variare costantemente.

 

Mentre in tempo di pace il valore del potenziale militare P di una Nazione varia in funzione delle dinamiche nazionali, in tempo di guerra i rispettivi valori di P delle Nazioni in guerra si modificano a vicenda in maniera estremamente rapida.

Mentre D ed R sono relativamente facili da tenere sotto controllo, e dipendono dalla capacità della relativa Nazione di mobilitare il personale e produrre i materiali necessari a ripianare le perdite e possibilmente anche ad accrescere il Potenziale, le variazioni di V diventano sempre più difficili da valutare e in sostanza si desumono dal rendimento in combattimento.

Una sconfitta può abbattere il morale di una Nazione, ma può anche esaltarlo; il bombardamento di un’area urbana può ridurre la sua popolazione alla disperazione oppure suscitare desiderio di vendetta, e la caduta di una città può provocare il collasso della determinazione di un esercito, oppure scatenare il desiderio di rivalsa. Dipende da infiniti fattori, tutti imponderabili perché legati alla natura umana dei contendenti e pertanto di ordine qualitativo e non quantitativo.

Per questo il lavoro di un analista militare è estremamente complesso e può anche condurre ad errori clamorosi.

 

In generale però in guerra le dinamiche portano tutte in ogni caso ad una variazione del potenziale P dei contendenti; ed è dall’analisi di queste variazioni che dipende il giudizio sull’andamento del conflitto.

Di massima, l’aggressore decide di scatenare un conflitto perché ritiene di avere un Potenziale tale da poter sopraffare l’avversario nella misura sufficiente per ottenere alla sua conclusione una situazione relativamente migliore rispetto a quella antecedente al conflitto stesso.

Se tale calcolo è corretto, l’attaccante inizia con un valore di P superiore a quello nemico e quindi anche grazie ad un certo grado di sorpresa consegue l’iniziativa stabilendo così il livello di intensità del conflitto e le direzioni principali su cui questo si sviluppa.

Ove la pianificazione della campagna sia stata eseguita correttamente, il differenziale D esistente fra il P dell’attaccante e il P del difensore tende ad aumentare nel tempo in base alle perdite fisiche in combattimento e alla variazione relativa della volontà di combattere delle due parti e del difensore in particolare. Se questo Dcontinua a crescere, allora si dice che l’attaccante ha un Momentum favorevole.

Ma se il D tende a diminuire, allora il Momentum dell’attaccante è negativo e questo indica che qualcosa nella pianificazione si sta rivelando errato e le cose non stanno andando come dovrebbero. È questo il momento in cui si rivelano i veri Comandanti, che sanno intervenire per correggere la pianificazione con ordini opportuni volti a correggere le cose intervenendo in maniera quantitativa (immettendo soldati e/o mezzi freschi provenienti dalla riserva) oppure in maniera qualitativa (cambiando il modo in cui soldati e/o mezzi già in combattimento vengono impiegati).

 

Quando un Comandante non riesce a mantenere positivo il proprio Momentum e il conflitto non si conclude per tempo, allora inevitabilmente il D si riduce a zero: si dice a questo punto che l’attaccante ha raggiunto il suo “Culmine”, l’offensiva si esaurisce per mancanza del Potenziale necessario a proseguirla e l’iniziativa passa al difensore.

 

Il Comandante che dirige la difesa nel frattempo avrà fatto di tutto per annullare il Momentum dell’attaccante riducendo progressivamente il D, e ottenuto il risultato di far “culminare” il nemico cercherà il modo di mantenere il Momentum a lui favorevole impiegando l’iniziativa appena conquistata imponendo il ritmo di combattimento più favorevole e le direzioni lungo cui questo si svolgerà.

Se il Comandante della parte aggredita riesce a mantenere il Momentum a lui favorevole anche dopo l’acquisizione dell’iniziativa, il D continuerà a variare a suo favore fino al collasso completo dell’attaccante (che avverrà quando il suo P tenderà allo zero).

 

La variazione del D dipende da quelle di tutte le variabili coinvolte nella determinazione dei valori di P tanto dell’attaccante che del difensore. Il numero dei combattenti e quello dei mezzi varia continuamente da ambo le parti in base tanto alle perdite in battaglia che all’immissione di riserve e rincalzi, ma anche l’entità della volontà di combattere dei contendenti varia in base ai risultati sul campo che incidono sullo spirito, sul morale e sulla determinazione di militari e civili.

Per questa ragione valutare il D fra i rispettivi potenziali militari dei contendenti e quindi l’andamento del Momentumdurante un conflittopuò apparirepiuttosto difficoltoso.

La dinamica della guerra però è tale per cui una volta che il Momentum si definisce, diventa estremamente difficile invertirne il segno.

 

Per riuscire ad invertire il segno negativo del Momentum occorre poter immettere in combattimento un ingente quantitativo di risorse fisiche fresche (personale e mezzi) senza che questo alteri la volontà nazionale di combattere. Per fare ciò occorre ottenere rinforzi dall’esterno oppure condurre una mobilitazione.

La Russia ha attaccato con un D estremamente favorevole grazie al suo enorme potenziale di partenza, ma non ordinando la mobilitazione immediata si è messa da subito nelle condizioni di non poter accrescere nessuna delle componenti del suo Potenziale; in questo modo per poter accrescere o almeno mantenere costante il D e quindi stabilire un Momentum favorevole sarebbe stato necessario poter degradare rapidamente il potenziale avversario con una campagna rapida e ben pianificata.

Purtroppo per Putin la campagna è stata pianificata male, con l’errore dirimente di aver valutato bassissimo il valore di V nel calcolo del potenziale ucraino.

 

L’Ucraina ha condotto la mobilitazione all’inizio del conflitto, i cui effetti si sono visti però dopo sei mesi (durante i quali le forze mobilitate si sono addestrate) ed ha ottenuto con continuità mezzi dall’Occidente: questo è servito prima a contenere la riduzione del suo potenziale P sotto la potenza dell’aggressione russa, e poi a farlo crescere in maniera incrementale.

 

Il risultato inevitabile – e visibile fin dal mese di marzo – è stato un Momentum da subito sfavorevole all’aggressore, che ha inesorabilmente logorato il D inizialmente favorevole fino ad annullarlo del tutto a fine estate e a consegnare l’iniziativa all’aggredito.

Il Momentum si mantiene costantemente favorevole all’Ucraina, ed è estremamente improbabile che il suo segno attuale possa essere invertito.

 

Si dirà: ma adesso anche la Russia ha mobilitato, accrescendo le sue risorse per il conflitto… Sì: ma l’orso Vladimiro ha deciso di mobilitare solo quando le cose ormai andavano chiaramente male. Per funzionare, una mobilitazione deve avvenire sull’onda dell’entusiasmo; se la si effettua ad aggressione fallita, il morale precipita perché si trasforma in un’ammissione di sconfitta.

P = (D+R) x V… Non importa quanto alto possa risultare (D+R), quando V tende a zero.

 

Orio Giorgio Stirpe