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Il “Regime Change” a Mosca di cui abbiamo parlato finora naturalmente non dipende tanto da un’azione occidentale (sarebbe un errore madornale tentarlo direttamente), quanto da un’iniziativa interna che l’Occidente dovrebbe in caso agevolare. Solo se fosse percepita come un’iniziativa del tutto russa potrebbe essere accettata dalla popolazione nazionalista.

D’altra parte è quasi impossibile prevedere da parte di quale gruppo di potere potrebbe dipendere queto tipo di azione risolutiva: la Russia è un insieme composito di molti elementi che finora sono stati coagulati e tenuti insieme dal collante della convenienza reciproca; ma nel momento in cui questa convenienza viene meno – come è il caso dopo le recenti sconfitte militari – questo collante viene meno ed è imprevedibile quali pezzi si staccheranno prima e quali altri potrebbero provocare la frantumazione totale dell’insieme.
È possibile però affermare che qualunque sia il gruppo capace di tentare per primo di rovesciare il Regime, questi dovrà necessariamente poter contare su un braccio militare tale da garantire la sicurezza dei congiurati prima e del nuovo governo dopo l’azione risolutiva.

Normalmente nel caso di un colpo di Stato tale braccio armato è rappresentato dalle Forze Armate regolari, o almeno da una componente sostanziale di queste, e in particolare dell’Esercito.
Nel caso in esame però, l’Esercito è decisamente in condizioni tali per cui è difficile prenderlo in considerazione come un’entità unica.

E’ quasi impossibile sovrastimare i danni che la guerra in corso ha portato al “Secondo Esercito del Mondo”: al di là delle perdite tremende subite sul campo in Ucraina, che sembra sempre più non si discostino poi troppo dai numeri apparentemente esagerati forniti dagli ucraini, il danno maggiore è quello subito dal prestigio interno ed internazionale, dalla coesione e soprattutto dal morale dei suoi membri, che hanno perso fiducia nelle capacità proprie e in quelle dei loro superiori a qualsiasi livello.
L’Esercito russo sta subendo in questi ultimi mesi un processo di metamorfosi molto simile a quello tipico delle grandi potenze in crisi: man mano che la Forza Armata professionale perde la sua capacità operativa in seguito all’attrito di combattimento e agli insuccessi sul campo, e nel contempo lo Stato perde la sua abilità di compensare le perdite con l’immissione di nuovo personale addestrato e nuovo materiale efficiente, tendono ad essere formate ed introdotte sul campo altre formazioni militari “alternative”, con cui si spera di supplire alle sempre più evidenti carenze dello strumento militare regolare.
Il tentativo di creare in particolare formazione da combattimento “di élite” tende a sottrarre il personale migliore all’esercito regolare, che perde ulteriormente in termini di qualità, mentre il tentativo parallelo di formare milizie difensive ausiliarie intralcia il reclutamento dei rimpiazzi impedendo il ristabilimento dei livelli anche in termini di quantità.

Questo fenomeno si è verificato nell’esercito romano d’Occidente nel V Secolo, quando in seguito alle perdite in battaglie pur vittoriose, si ricorse all’arruolamento di eserciti privati da parte dei principali condottieri che li pagavano di tasca loro, e contemporaneamente all’assoldamento di tribù barbariche difficilmente controllabili: in questo modo i combattenti non erano più leali allo Stato per cui idealmente avrebbero dovuto combattere, ma unicamente ai propri Comandanti… Con i risultati che tutti abbiamo studiato a scuola.
Più recentemente la Germania nazista nei suoi ultimi tempi, “raschiando il barile” delle sue ultime risorse, ricorse sempre più alle motivatissime milizie di partito (le SS) e a quella popolare (le “Volkssturm”), sottraendo inevitabilmente risorse umane e materiali a ciò che restava dell’esercito regolare.
So che i puristi della storia militare qui avranno parecchio da interloquire, ma questo è un post su FB e non un trattato e quindi devo necessariamente condensare i concetti: l’aspetto fondamentale è la frammentazione dello strumento militare durante il decorso del collasso statale.

In Russia ormai non esiste più un “Esercito russo” coeso. Esistono ancora le Brigate regolari di carristi e di fucilieri motorizzati, estremamente logorate e demoralizzate, ridotte in gran parte ad una Capacità Operativa pari al 50% di quella originaria, o anche meno. Ci sono le unità scelte delle VDV (in teoria aviotrasportabili ma in sostanza meccanizzate), che fanno sempre più corpo a sé e costituiscono in sostanza le uniche forze ancora capaci di condurre una manovra: anche queste hanno subito perdite gravi e spesso anche peggiori, ma almeno tendono a ricevere il meglio di quel poco di personale e di materiale che lo Stato maggiore riesce ancora a mettere insieme, e questo le differenzia sempre più dal resto dell’esercito.
C’è poi un numero crescente di milizie di ogni genere, costituite da soldati armati per lo più alla leggera, con motivazione e addestramento variabili e idonei a combattere quasi esclusivamente in ambiente urbano oppure in trincea: queste forze sono normalmente di reclutamento etnico o regionale, ed hanno lealtà quantomai dubbie. Fra queste le più famose sono le Brigate cecene fedeli al “Signore della Guerra” Ruslam Kodyrov, sicuramente fedeli a lui prima (molto prima) che alla Russia. Ma ci sono anche quelle reclutate nelle altre Repubbliche autonome o negli Oblast più poveri, costituite da “volontari” attratti da paghe sproporzionate (e improbabili). Ci sono le milizie più o meno volontarie delle “Repubbliche Popolari” di Donetsk e di Luhansk, famose per l’attitudine all’ammutinamento appena portate a combattere all’esterno dei rispettivi territori. Abbiamo anche reparti ancora più folcloristici, come quelli di origine cosacca, di matrice religiosa o legate a qualche partito estremista di destra o di sinistra, tutti già visti in azione nel 2014 nel Donbass e assurti a nuova visibilità quando l’Armata russa si è trovata a corto di personale: fra loro troviamo anche personale straniero un po’ come nei famosi “Azov” di parte ucraina.
Infine, ci sono le “PMC”: le Compagnie Militari Private costituite da mercenari ben pagati e fra le quali spicca per numeri e per fama il “Gruppo Wagner”; originariamente assimilabili nella consistenza e nell’impiego a Forze Speciali, hanno recentemente acquisito anche equipaggiamento pesante ed operano come veri e propri BTG di élite, assumendosi l’onere delle poche operazioni offensive ancora possibili e che Putin si ostina ad ordinare nei dintorni di Bakhmut.

Qualunque iniziativa volta a rovesciare l’attuale regime dovrà necessariamente fare affidamento su una o più di queste eterogenee formazioni che attualmente operano ancora nominalmente alle dipendenze dei Comandi di Armata regolari, ma le cui Catene di Comando oltre a dimostrarsi estremamente fragili se sottoposte ad attacco diretto, risultano anche via via sempre meno affidabili in termini di lealtà allo Stato.
Il problema crescente è rappresentato dal fatto che queste differenti componenti, oltre ad avere livelli di capacità, motivazione e addestramento molto differenti fra loro, nutrono una profonda diffidenza le une verso le altre.

L’esercito regolare ha ancora il vantaggio di controllare almeno in teoria la catena di Comando e quella logistica; però anche se rappresenta ancora la componente principale in termini numerici, è anche quella maggiormente interessata dall’afflusso di personale appena mobilitato per rimpiazzare le gravissime perdite subite, e pertanto ha il morale più basso.
Le varie milizie sono dotate di una mobilità minima e sono viste a Mosca come semi-barbariche: non potrebbero mai prendere il controllo del Cremlino.
Rimangono quindi le truppe scelte delle VDV e le PMC del gruppo Wagner: le uniche forze dotate di capacità operativa e di mobilità sufficienti ad effettuare un colpo di stato – oppure a contrastarlo, a seconda delle velleità dei rispettivi Comandanti.

Orio Giorgio Stirpe